HPV positivo, cosa fare?

HPV positivo, cosa fare?

PREVENZIONE
HPV positivo, cosa fare?

Che cos’è l’HPV test?

L’HPV test è un test molecolare che ricerca il DNA dei ceppi di Papillomavirus CONSENTENDO DI IDENTIFICARE QUELLI  ad alto rischio oncogeno e quindi più frequentemente associati allo sviluppo del carcinoma della cervice uterina.

HPV positivo, cosa fare?

 

Innanzitutto non fasciamoci la testa: è importante precisare che un eventuale positività all’HPV test non corrisponde a una diagnosi di tumore. Il processo tumorale è in genere lento: sono necessari anni prima che l’infezione da HPV conduca allo sviluppo di un cancro. Le donne che si sottopongono regolarmente ai controlli avranno tutto il tempo per rilevare l’infezione e diagnosticare eventuali lesioni precancerose – le quali, se non trattate, potrebbero evolvere in un tumore invasivo. Detto questo, chi si trovi in questa situazione troverà tranquillizzante conoscere le indicazioni relative ai successivi passaggi.

 

Se il Pap-test / HPV DNA Test risultano positivi, la paziente viene sottoposta a un esame di secondo livello, la colposcopia; questo esame consente – mediante l’utilizzo di due coloranti (acido acetico e Lugol) e uno strumento, il colposcopio – una visione ingrandita del collo dell’utero e delle eventuali lesioni rilevate con il test di screening. Nel caso in cui l’esame colposcopico evidenzi la presenza di aree anomale, si procederà contestualmente a effettuare una biopsia, ossia un piccolo prelievo di tessuto che verrà esaminato al microscopio.

Se la lesione precancerosa viene confermata, lo specialista deciderà che linea seguire. Non tutte le lesioni pretumorali necessitano di trattamento.


Le lesioni precancerose 

Le lesioni precancerose sono definite CIN (Cervical Intraepitelial Neoplasia); questa sigla indica un gruppo di lesioni epiteliali della cervice (displasie) caratterizzate da alterazioni morfologiche e istologiche che non oltrepassano la membrana basale. Esiste una distinzione tra:

  • CIN 1(displasia lieve in cui le atipie cellulari sono solo limitate al 1/3 inferiore dell’epitelio)
  • CIN 2(displasia moderata, in cui le atipie cellulari comprendono i 2/3 dell’epitelio)
  • CIN 3(displasia grave e Carcinoma in situ – ossia atipie che interessano tutto lo spessore epiteliale senza però superare i confini della membrana basale. Quando la membrana basale viene superata si parla di carcinoma invasivo e non di displasia.

Attualmente viene adottata la dizione SIL (Lesione Intraepiteliale Squamosa), introdotta dalla nuova classificazione del pap-test (Classificazione di Bethesda).

Le lesioni intraepiteliali squamose (SIL) si distinguono in:

  • SIL di basso grado(Low-SIL, L-SIL) che comprende CIN 1 (displasia lieve)
  • SIL di alto grado (High-SIL, H-SIL) che comprende CIN 2 (displasia moderata) e CIN 3 (displasia grave).

Le lesioni di basso grado, sono suscettibili, in una certa misura, di regressione spontanea (è naturalmente più probabile nei casi di displasia lieve). Per questo motivo, soprattutto nelle pazienti giovanissime, generalmente si preferisce monitorare questo tipo di lesioni, anziché intervenire. Questa condotta di attesa serve a evitare interventi che potrebbero rivelarsi non necessari.

Per contro, nel caso in cui la lesione di basso grado persista o venga riscontrata una lesione di alto grado (confermata all’esame istologico) è invece raccomandata l’asportazione.

 

In ogni caso, è assolutamente necessario tipizzare e classificare il tipo di anormalità citologica; l’esame colposcopico permette di valutare:

  • la topografia della lesione cervicale (ossia la cosiddetta ‘zona di trasformazione’)
  • i suoi rapporti con la giunzione squamo-colonnare e la sua estensione eso-endocervicale
  • la sede in cui occorre effettuare una biopsia mirata
  • il tipo ed il modo di un eventuale trattamento ottimale

Grazie alle migliorate conoscenze della storia naturale delle lesioni CIN e allo sviluppo della colposcopia, è oggi possibile fare ricorso a interventi sempre più conservativi, che non compromettono la funzione riproduttiva.

Due sono i tipi di trattamento:

  • trattamento demolitivo o ablativo (il tessuto patologico è demolito)
  • trattamento escissionale(il tessuto patologico viene asportato ed esaminato dall’istologo)

Metodi demolitivi

  • Diatermocoagulazione
  • Crioterapia
  • Vaporizzazione mediante laser CO2

Tecniche escissionali

  • Electrosurgical excision procedute (LLETZ/LEEP- ansa diatermica)
  • Laserconizzazione (metodica che utilizza il raggio laser in funzione di taglio)
  • Conizzazione a lama fredda

 

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L’obiettivo del trattamento è di eliminare le lesioni potenzialmente evolutive (CIN2-CIN3) e ridurre la mortalità per neoplasie invasive.

I metodi demolitivi locali come la diatermocoagulazione (DTC), il laser CO2 e la crioterapia sono riservati soltanto a lesioni poco estese e la cui potenzialità evolutiva (displasia lieve) è di basso grado (cioè poco probabile). In tutti gli altri casi (compreso il dubbio diagnostico) devono essere presi in considerazione i metodi escissionali (conizzazione) che come ora vedremo consentono di asportare (con tecniche diverse) una parte del collo uterino, consentendo in gran parte dei casi la guarigione definitiva della paziente.

Tecniche escissionali: Conizzazione

La conizzazione è un intervento chirurgico che ha lo scopo di asportare le lesioni del collo dell’utero evidenziate durante la colposcopia e mediante biopsia cervicale. Consiste nella escissione di una porzione (solitamente conica, da cui il nome) del collo uterino (cervice) al fine di asportare una lesione potenzialmente maligna o francamente maligna ancora molto limitata nella sua estensione. L’entità del tessuto da asportare, quindi l’altezza del cono, viene stabilita in base all’estensione endocervicale della lesione individuata.

E’ da considerarsi un intervento conservativo, in quanto non altera in modo sostanziale l’architettura e la fisiologia dell’utero, e allo stesso tempo risulta terapeutico e diagnostico. Questo tipo di intervento in genere, preserva la possibilità della donna di avere figli (sebbene possa elevare il rischio di incompetenza cervicale). In una fase successiva, il cono di tessuto cervicale asportato verrà sottoposto a un esame istologico, fornendo all’anatomopatologo informazioni utili su natura ed entità delle lesioni, in modo da verificare che il tessuto anomalo sia stato rimosso in toto.

Come si esegue

La conizzazione viene eseguita sotto guida colposcopica con diverse tecniche; ognuna di esse presenta alcuni vantaggi e svantaggi.

  • Bisturi a lama fredda: è una escissione chirurgica tradizionale, richiede l’ospedalizzazione e l’anestesia generale o meno frequentemente locale; presenta un rischio emorragico maggiore rispetto alle altre tecniche, ma fornisce campioni istologici migliori.
  • Ansa diatermica: prende il nome di LEEP(Loop Electro Escission Procedure) o LLETZ (large loop excision transformation zone); la rimozione tessutale avviene per taglio e coagulazione nei punti in cui l’elettrodo viene a contatto con il tessuto. Comporta un danno termico minimo sui margini del taglio, quindi la lettura del preparato istologico non è ostacolata.
  • Laser CO2: prende il nome di laser-conizzazione; può essere effettuata in regime sia ambulatoriale che di Day Surgery, in anestesia locale; permette il rispetto del tessuto sano ma a volte può lesionare il campione istologico.
  • La Elettroresezione (o elettro-conizzazione) con ago o con spatola è una valida alternativa sia agli interventi a “lama fredda” che a quelli con ansa diatermica o laser. Il cono che si ottiene è preciso, privo di artefatti. La restitutio ad integrum è ottima e le complicanze minime.

[Le tecniche escissionali possono prevedere anche il ricorso all’isterectomia, ossia l’asportazione chirurgica dell’utero in toto, indicata in caso di carcinoma già invasivo. Oltre che dalla gravità della lesione, la scelta tra conizzazione ed isterectomia viene effettuata in base all’età, al desiderio della donna di future gravidanze e alla storia di recidive dopo trattamenti conservativi.]

Risultati

Nella maggior parte dei casi (>90%, fino al 97%) la conizzazione si rivela una terapia adeguata e risolutiva, indipendentemente dalla tecnica utilizzata. Nonostante ciò è bene non abbassare la guardia: un accurato monitoraggio della paziente dopo l’intervento è essenziale per prevenire ed individuare eventuali recidive.