L’amniocentesi e la villocentesi sono due esami diagnostici prenatali invasivi ai quali la gestante può decidere di sottoporsi in diversi casi: se gli esami diagnostici non invasivi (il Bitest o il test del DNA fetale libero circolante) abbiano rilevato un aumentato rischio di anomalie cromosomiche; se l’età della mamma è uguale o superiore ai 35 anni; se la gestante ha avuto precedenti gravidanze con patologia cromosomica; se esiste una familiarità per cromosomopatia. Entrambi questi esami consentono di ottenere il cariotipo fetale, ovvero l’intero assetto cromosomico del feto, in modo da accertare o escludere la presenza di anomalie cromosomiche, sia in termini di numero che di struttura dei cromosomi. Si tratta di esami facoltativi, che possono presentare alcuni rischi per il buon andamento della gravidanza. La valutazione dei rischi e dei benefici è soggettiva fino a un certo punto; perché i numeri esistono. Ad esempio, il Servizio Sanitario Nazionale ha deciso di offrire gratuitamente l’amniocentesi alle donne che abbiano superato i 35 anni perché questo è lo scalino oltre il quale la percentuale di rischio di avere un figlio affetto da una patologia cromosomica importante supera la percentuale di rischio abortivo. L’amniocentesi L’esame si esegue in genere tra la 15ª e la 18ª settimana di gestazione e consiste nel prelievo, mediante guida ecografica, di una piccola quantità di liquido amniotico. Il prelievo, che dura circa un minuto, viene effettuato introducendo un ago lungo e sottile nell’addome materno. Si attraversano la parete dell’utero e le membrane amniotiche fino a raggiungere il sacco amniotico; e il liquido amniotico prelevato, la cui quantità è irrilevante per il benessere fetale, viene poi trattato e coltivato in laboratorio L’esame non è doloroso, dura pochi minuti e non richiede anestesia né il ricovero ospedaliero; al termine dell’amniocentesi è comunque necessario rimanere per 30-60 minuti nel centro sanitario e nelle 48h successive all’esame è bene astenersi da attività fisiche impegnative; inoltre, nel caso in cui dovessero comparire dolori addominali prolungati, febbre o perdite vaginali, è importante informare immediatamente il medico. L’amniocentesi ha, come già detto, un margine di rischio per il buon andamento della gravidanza, con aborto spontaneo, infezione della cavità amniotica e rottura delle membrane stimati intorno allo 0,5%. La villocentesi La villocentesi conduce la medesima analisi genetica, permette di studiare le patologie cromosomiche, consente dunque di capire se il feto ne è affetto oppure no, o se ne è portatore sano. Questo è possibile grazie all’analisi molecolare del DNA estratto dai villi coriali; questa analisi in genere viene indicata nelle coppie che per storia familiare sono a rischio per alcune malattie ereditarie, come la fibrosi cistica e la distrofia muscolare. L’esame si esegue tra l’11ª e la 13ª settimana di gestazione, e viene effettuato sotto guida ecografica. Viene introdotto un ago nell’addome della paziente, l’ago attraversa la parete uterina (ma non le membrane amniotiche) e preleva per aspirazione – in 20-30 secondi – una piccola porzione di villi coriali placentari. Quanto prelevato viene poi trattato e coltivato in laboratorio, per ottenere l’assetto cromosomico del feto. L’obbiettivo dell’operatore è prelevare la porzione più piccola possibile, che sia tuttavia valida come campione da analizzare. Anche questo esame ha un margine di rischio per il feto (con rischio di aborto spontaneo stimato intorno allo 0,5%). Perché? La diagnostica non implica necessariamente posizioni radicali. Fare diagnosi prenatale significa conoscere e informare; consente ai genitori di prepararsi all’arrivo di un bimbo con disabilità, oppure preparare una equipe medica specializzata al parto di un bambino che necessiterà di cure specifiche, e per il quale le prime ore di vita potrebbero fare la differenza.
Villocentesi
BLOG/CATEGORIA
Amniocentesi e
